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LA LEVA: IL CANTO DEL TRADIMENTO E LA BANDA SUONA LA MARCIA FORZATA

24/12/2018 - Vulemu a Garibardi / c’un pattu e senza leva, / e s’iddu fa la leva / canciamu la bannera. Vogliamo garibaldi a un patto: senza leva. E se lui farà la leva cambieremo la bandiera.
Giunto il mese di maggio la leva obbligatoria “è vera”. Ancora una volta a pagare il conto sono le classi più umili; i benefici delle lotte vanno ai benestanti ed una più equa distribuzione dei beni demaniali rimane solo una pia illusione.
Nel 1866 a Palermo scoppiano violenti tumulti. I giovani sono costretti a partire per la leva obbligatoria: chi piange e chi grida al tradimento, mentre la banda musicale accompagna la partenza dei picciotti.
“In ogni casa di renitente, seguendo un’usanza dell’Europa prerivoluzionaria, si mette a custodia una guardia cui i familiari del renitente dovranno pagare la giornata fino a quando il latitante (padre, fratello, figlio) non si sarà presentato (A. Uccello). Il Governo ne sa sempre una più del diavolo.
Nelle sue “Memorie” lo stesso Garibaldi scrive: “Si cominciò a parlare di dittatura, ch’io accettai senza replica, poiché l’ho sempre creduta la tavola di salvezza nei casi d’urgenza e nei grandi frangenti in cui sogliono trovarsi i popoli“.
Dopo il 1860 l’emigrazione di massa prende il posto del mito del Risorgimento, la leva militare obbligatoria viene imposta ai meridionali. A Palermo (1866), i moti vengono repressi nel sangue.





LA LEVA

Ora ch’è juntu lu misi di maju
vaiu dicennu ca la leva è vera,
li schittuliddi fannu un chiantu amaru:
la megghiu giuvintù surdati ieru.

A Turinu nn’aspetta ‘u suvranu,
facemu li sett’anni e poi turnamu,
quant’è cchiù tintu si nni maritamu:
cu’ ‘na catina ô pedi sempri semu.

Picciotti di Rivela ch’âmu a diri?
E cu’ ‘sta liggi comu avemu a fari?
Tutti surdati ni nn’avemu a iri,
li schittuliddi suli âmu a lassari.

Iddi d’appressu nni vonnu viniri,
l’amuri nostru ‘un si pônnu scurdari:
 O ti lu dicu o ti lu mannu a diri,
n’autri ott’anni ci vônnu pi’ turnari.

Gesù chista parola ‘un ni l’ha diri
câ n’autri ott’anni nun ci pozzu stari!






TRADUZIONE

Ora ch’è giunto il mese di maggio
vado dicendo che la leva è vera,
le giovinette fanno un pianto amaro:
la meglio gioventù soldati andranno.

A Torino ci aspetta il sovrano,
facciamo i sette anni e poi torniamo,
quanto sarebbe peggio sposarsi:
con la catena al piede sempre saremmo.

Giovani di Ribera cosa dobbiam dire?
Con questa legge come dobbiamo fare?
Tutti soldati dovremo partire,
le ragazze sole dobbiamo lasciare.

Loro appresso a noi vorrebbero venire,
il nostro amore non possono dimenticarlo:
 O te lo dico e te lo mando a dire,
altri otto anni ci vorranno per tornare.

Gesù questa parola non la dire
che altri otto anni non ci posso stare.

(Traduzione Mimmo Mòllica)



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