Lontana dalle sue basi di raddobbo, essa si vide obbligata a ricorrere all’arruolamento di marinai siciliani; onde venne a formarsi un curioso gergo anglo-siculo, specialmente pei canti di lavoro, che oggi ci riesce incomprensibile. A tale gergo appartiene certo il presente canto, intorno al quale molto mi affaticai, finché un colto ufficiale di marina mi diede la spiegazione che ora ho riferito.
Cialoma quannu si isa la vela
(in navi a vela inglesi)
Unu fa da capu, etta ‘na vuci e tutti l’autri arrispuninu, pi’ mettiri a forza tutta para.
O ringo ringo cunuè,
sciaviraviringa sciaviravanè
ca lu nivuru ‘n teni re.
Iu mi partu d’a me terra
io mi vadu a dispaccià.
Tirulè, lè, lè,
Pappagallo tocca ‘n pè.
Lo pollaro i verencelli, lo pollaro i vroncò.
Vittoria, vittoria,
Sciaviravira bombò, oh, oh!
Vittoria, vittoria,
Sciaviravira bombò, oh, oh!
Ai bini volli dai,
Urrà! Rancicò!
O rancicò, o pullierù,
la la la la la la la la là.
Ai cheme orcicò,
ai cheme grasse ven.
O gersù, ai che me grasse ven . O gersù!
Vittoria, vittoria,
Sciaviravira bombò, oh, oh!
Vittoria, vittoria,
Sciaviravira bombò, oh, oh!
Tra il 1875 e il 1880, la scoperta di rigogliosi banchi di corallo nello smeraldino mare di Sciacca e di Trapani attrasse in quegli anni una moltitudine di barche provenienti da Napoli (in particolare), dove la pesca e la trasformazione del corallo venivano praticate già da tempo. Questo spiega il formarsi di un gergo siculo-partenopeo, che in questo canto può dirsi davvero esemplare.
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