Ad offuscare la ‘reputazione’ delle filastrocche sono proprio i maestri della lingua italiana, autori di vocabolari e di manuali del genere. Per un buon numero di questi “maestri”, infatti, le filastrocche sono “successioni lunghe e fastidiose di parole”, “noiose tiritere” “serie lunga e noiosa di parole”, “discorso lungo e sconclusionato; elenco prolisso”.
A restituire piena dignità ad un genere letterario ‘privilegiato’, perché incontra la persona sin dalla prima infanzia, è Wikipedia, l'enciclopedia libera, che così spiega il significato del termine.
“In letteratura la filastrocca è un tipo di componimento breve con ripetizione di sillabe ed utilizzo di parole di estrazione popolare. Il ritmo della filastrocca è rapido e cadenzato con rime, assonanze e allitterazioni ricorrenti. Alcuni procedimenti analoghi a quelli utilizzati nelle filastrocche si possono trovare nella poesia burlesca quale quella di Lodovico Leporeo e Olindo Guerrini. Noto autore di filastrocche è, in Italia, Gianni Rodari.
Wikipedia accosta poi il termine filastrocca alle Nursery rhymes: “Si definiscono nursery rhymes brevi canzoni o prose popolari per bambini originariamente impiegate, negli asili, a scopo didattico. In molte culture queste filastrocche si sono tramandate di generazione in generazione seguendo i canoni della tradizione orale”.
Parole d’amore per un genere letterario davvero privilegiato, specie se accostate a quanto nel suo “Nuovo dizionario de' sinonimi della lingua italiana (1838) scrive Niccolò Tommaseo alla voce ‘filastrocca’:
Filasirocca, serie lunga e noiosa di parole o non convenienti o non vere (2). Filastrocca di bugie, di citazioni, di nomi: un discorso pieno d’enumerazioni, d’ampollosità, filastrocca.
Dicon anco filasiroccola, che vale il medesimo; se non che attenua col suono la cosa, e a soggetti meno odiosi, o più minuti, meglio s’applicherà (3). Dicevasi un tempo in senso affine filatera o filatessa, con alcune differenze ch’io accennerei, se le due voci fossero vive.
Cantafèra è cantilena noiosa, o in versi, o in prosa canora, o cantata da chi la recita. Cantafèra accademica. Non è, credo, comune nella lingua parlata. O è meno di cantafavola, ch’è lungheria non vera (4).
Tiritèra, discorso non breve, pieno di espressioni, che (come il suono dice) si strascicano l’una dopo l’altra, e di piccolezze. La cantafavola è un po’ mendace; la filastrocca, talora mendace, è sempre noiosa: la tiritera, noiosa ed inetta (5).
Tantafera, discorso informe, male commesso; pensato sì, ma poco e non bene. Può essere il discorso vero e non inetto, ed essere tantafera (1).
Le facezie di certa gente son filastrocche d’impertinenza, e filastrocche di freddura; le dottrine di certi politici, cantafavole; l’armonia di certi verseggiatori è una cantafèra prolissa.
La filosofia di certi moralisti, una fredda tioritera; l’eloquenza di certi accademici, tantaferate vere (2).
Questo lusso di vocaboli dispregiativi indica il bisogno che se n’è sentito in Italia: e il sentimento del male è già principio di medicina.
Un pezzo di statistica mal digerito è una filastrocca uggiosa, ma non inutile: ai lettorati vuoti di sapere dilettano più le loro tantafere, e le lor cantafère ai verseggiatori mestieranti, e ai filosofi dozzinali, le lor tiritere.
La cantafèra è de’ pedanti in verso; la tantafera de’ pedanti in prosa, e di tutte le teste confuse: la tiritera, delle teste confuse e deboli.
Può un ragionamento avere qua e là de’ buoni concetti, ed essere una tiritera: può una poesia, qua e là mostrare di belle immagini, ed essere una cantafèra: può un’enumerazione esser fatta in be’ versi, ed essere una filastroccola.
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