26/03/2017 - Giornalista e scrittore, Giuseppe Quatriglio, candidato al Premio Strega nel 2000 e vincitore dei premi letterari Mondello e Vittorini, ha ricevuto il premio della Cultura del Consiglio dei ministri nel 1996, 1999 e nel 2004. Tra i suoi libri più noti Mille anni in Sicilia, Viaggio in Sicilia, L'uomo-orologio, Sabìr e Urla senza suono, un testo sulla sede dell'Inquisizione a Palermo assieme alle testimonianze di Giuseppe Pitrè e Leonardo Sciascia. Tra le opere più recenti, “L'uomo che non voleva essere padre " ( 2009 ), Immagini del Novecento" (2010), "Il romanzo di Cagliostro " (2012).
Nato a Catania ma vissuto sin dall'infanzia a Palermo, Quatriglio è laureato in Giurisprudenza ed ha frequentato un anno accademico negli Stati Uniti, presso la Medill School of Journalism della Northwestern University (Evanston, Illinois), quale vincitore di una borsa di studio.
Venerdì 18 agosto 1995 il Giornale di Sicilia pubblicava un suo interessante e delicato articolo dal titolo “Meucci alla riconquista del telefono”, dedicando un’intervista e sincera attenzione a Carlo Meucci, il ‘mendicante’ vissuto a Tindari (dove è morto nel 1966).
Scriveva Giuseppe Quatriglio venerdì 18 agosto 1995 sul Giornale di Sicilia:
“Riapro la a cartella del mio archivio dedicata ad Antonio Meucci con le carte rimaste lì da decenni. (…) La patetica storia di Antonio Meucci ha avuto in Sicilia un’appendice altrettanto patetica con i colori del ‘giallo’. Nell’Isola è infatti vissuto a lungo ed è morto in estrema povertà Carlo Meucci che si proclamò sempre figlio di Antonio Meucci anche attendendo una pensione che compensasse in qualche modo le amarezze patite dal padre”.
“Antonio Meucci lottò a lungo con le sue povere forze contro l’ingiustizia perpetrata ai suoi danni, ma alla fine perdette la battaglia legale, nonostante una sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti sancisse nel 1888 la priorità dell’italiano. L’anno seguente, nel 1889, Meucci morì solo e abbandonato, di crepacuore”.
“Altrettanto triste è la storia di Carlo Meucci, morto novantenne agli inizi degli anni Sessanta. Carletto – così era conosciuto – gestiva una piccola baracca sull’alto colle di Tindari, accanto al Santuario della Madonna Nera. ‘Bazar da Carlo’ era scritto sulla logora insegna, disegnata su una tavola sconnessa. L’uomo stava lì e mostrava a quanti si recavano nel santuario grandi immagini della Madonna. Ne vendeva poche e pertanto viveva della carità dei monaci di Tindari.
“ Rileggo gli appunti presi durante quell’incontro, alla fine degli anni Cinquanta. Carletto mi disse che il padre lo aveva avuto quando aveva già 64 anni e precisava che la madre non era stata certamente la moglie, che era coetanea di Antonio Meucci”.
Antonio Meucci era stato minacciato dalla Mano Nera che ritorceva che sue minacce sul figlio Carlo, affinché desistesse dal proposito di rivendicare in sede giudiziaria la paternità dell’invenzione del telefono, in contrapposizione con Graham Bell e (quindi) con i potentati economici che traevano interesse dal brevetto usurpato .
Così Giuseppe Quatriglio, nel suo articolo racconta l’incontro a Tindari con Carlo Meucci, trascritto interamente dalla bobina da lui registrata: “Un giorno arrivarono da mio padre persone a lui sconosciute che gli fecero capire una cosa: se non la smetteva di rivendicare l’invenzione del telefono gli avrebbero tolto ‘l’oggetto del cuore’. L’oggetto del cuore ero io. Avevo undici mesi. Per questo mio padre incaricò una donna che doveva tornare in Italia, Giovanna Gullotta, di portarmi in Italia per mettere l’Oceano tra me e la Mano Nera. Era il 1873. Così finii in Calabria”.
“Giovanna Gullotta che per vent’anni fu la mia mamma, e veramente credetti lo fosse, dava lezioni di pianoforte. Si dette il caso che la sua opera venisse richiesta dalla principessa di Cutò. Così anch’io raggiunsi Palermo con lei e vi rimasi fino a 21 anni. Una sera, prima di andare a letto, quella che sempre avevo creduto fosse la mia mamma, mi prese le mani nelle sue mani e mi raccontò la verità. Seppi così che mio padre era l’inventore del telefono. Mi sentii bruciare il sangue, piansi per tanti giorni e alla fine decisi di ritornare in America, con l’intenzione di avere finalmente giustizia”.
Rimasi in America quindici anni, aiutato nei primi tempi dalla famiglia…”.
Così il racconto “lacunoso ma attendibile di Carletto Meucci riportato con variazioni da quotidiani e rotocalchi all’inizio degli anni Sessanta”.
“Carletto morì in miseria, come il padre. Sì, credo fosse figlio dell’inventore del telefono, per cui si chiede che sia fatta giustizia ancora nel 1995”.
Una vicenda che Mimmo Mòllica ha approfondito e raccontato nel suo recente volume “Meucci il figlio del… telefono mendicante a Tindari” che dà bene l’idea dell’ostinazione (gratuita e immotivata) che si incontra in taluni nel disconoscere l’identità anagrafica e burocratica di Carlo Meucci, su tutte le documentazioni ufficiali descritto come nato a New York il 3 novembre 1872, figlio di Antonio Meucci ed Ester Mochi. Una identità da taluni negata per il solo ‘gusto’ di non credere a quanto certificato da istituzioni pubbliche, senza tuttavia opporre alcuna prova, alcuna seria e concreta motivazione al ‘sospetto’.
Così, con Giuseppe Quatriglio scompare un’altra nobile figura d’uomo, giornalista e scrittore interessato ad indagare positivamente l’identità di un uomo sfortunato, Carlo Meucci, figlio di una eccellenza italiana della scienza.
Quatriglio lascia un sigillo di verità e animo eccelso, di arte del giornalismo e mente illuminata. Lascia un’orma di grandezza umana e culturale su quella spiaggia di Marinello dove la nigra sed formosa Madonna del Tindari salvò la bambina sfuggita dalle mani della ‘rimbrottosa’ madre.
E se a non credere nella vera identità di Carlo sono uomini distratti e poco inclini all’approfondimento non è Carlo che deve dolersi (alla memoria) ma le istituzioni, i redattori dei certificati burocratici attestanti l’identità ufficiale di quell’’uomo nato a New York e sepolto nel cimitero di Patti nel giugno 1966.
Giacché non è a Carlo che dimostrano di non credere ma alle istituzioni, ai documenti istituzionali, alla burocrazia, allo Stato.
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